"Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato."
S.K.
S.K.
Sono già passati dieci anni da quel 7 marzo del 1999, in cui tristemente abbiamo dovuto dire addio ad uno dei più grandi cineasti della storia. Stanley Kubrick si spense all'alba, nella sua residenza in campagna nei pressi di Londra, pochi mesi prima di compiere 71 anni. Su di lui è stato detto tutto. Sarebbe superfluo ripetere ancora quanto è stato scritto. Per omaggiarlo, dunque, mi limiterò a spendere soltanto qualche parola sul mio personalissimo rapporto col Grande Maestro, nato anch'esso 10 anni fa, qualche mese dopo questa data. Sono entrato nel cinema kubrickiano dalla porta d'uscita, ovvero dalla sua ultima opera Eyes Wide Shut. A dire il vero c'era già una sua pellicola che avevo visto molti anni prima: si tratta di Spartacus. Fui costretto a vederlo da mio nonno, appassionato di film storici e western, al quale non importava molto chi fosse quest'attore o quel regista. Dunque direi la visione non è valida, visto che ero soltanto un bambino e inconsapevole di quale autore si celasse dietro quell'opera. Oltre che inconsapevole ero anch'io un tantino insensibile dal punto di vista artistico, o meglio non avevo ancora scoperto quella vocazione alla grande arte che si nascondeva dentro di me. Era ancora assopita, necessitava di una scossa, di un defibrillatore intellettuale che la destasse. Tale scossa arrivò proprio con la visione di Eyes Wide Shut. Mi presentai in sala con due amiche, parzialmente ignaro di ciò che stessi andando a vedere. Alla fine del primo tempo, subito dopo la sequenza dei riti orgiastici, volevo già andar via. Digerire quella potenza di immagini forti, spuntate sullo schermo inaspettatamente, non era ancora per me. Ma anni dopo seppi apprezzare lo stesso film, dopo una nuova visione in seguito alla lettura del romanzo di riferimento, Doppio sogno di Arthur Schnitzler.
Opinioni diametralmente opposte, dovute anche al fatto che nel frattempo avevo già metabolizzato ben altre opere kubrickiane, ignorate o misconosciute fino a poco tempo prima. La folgorazione arrivò con Arancia Meccanica, film che conobbi prima per fama che per visione diretta. Scandali, censure, divieti, influenze negative mi avevano turbato in un certo modo. Ma ormai ero maturo per una conoscenza diretta dei fatti, e così, all'età di vent'anni, ebbi l'occasione di vederlo. Videocassetta uscita con un quotidiano, non ricordo se fosse il Corriere della sera o La Repubblica, prestatami da un amico. E fu subito amore. Anzi, AMORE! Ah, quel modo leggero e leggiadro di trattare la violenza! E poi il linguaggio dei protagonisti, le locations perfette, il futurismo e le stranezze insolite per gli anni 70, epoca in cui fu girato. Cominciai a capire dove e come si nasconde la bravura del regista all'interno di un'opera, cosa che mi fu sempre più chiara guardando via via tutti gli altri capolavori della sua pur breve, ma intensa filmografia.
E venne il grande 2001, opera di grandezza e importanza incommensurabile, per tutta la storia del cinema. Una lentezza disarmante accompagnata magistralmente dalla musica di Strauss, ma anche da scene di forte tensione, come i momenti che fanno seguito alla ribellione e successiva eliminazione di Hal 9000. Per non parlare del forte impatto visivo di certe inquadrature, oltre all'indimenticabile passaggio dai primati all'uomo del futuro, migliaia di anni simboleggiati da un osso scagliato in cielo. Geniale!
E poi Barry Lyndon, visto in una notte tutto d'un fiato, nonostante la lunghezza potesse spaventare chiunque. Che capolavoro, che invenzioni, che tecnica! Superbo l'uso delle luci naturali, catturate mediante l'utilizzo di una super lente Zeiss per una spettacolare fotografia "pittorica", capace di ridare l'esatta immagine dell'epoca. Chi avrebbe mai detto che qualche anno più tardi avrei potuto vedere dal vivo quel super-obiettivo! Ma di questo accenneremo dopo...
E poi via via vennero tutti gli altri: Shining, che per un'ottima metabolizzazione ho dovuto rivederlo più volte. Un Jack Nicholson superlativo, forse al meglio delle sue capacità, e delle sequenze da brivido fanno di quest'horror psicologico uno dei migliori del genere. Un film unico anche dal punto di vista tecnico, con il perfezionamento di uno strumento inventato qualche anno prima dall'operatore Garrett Brown, ma portato ai massimi risultati proprio da Kubrick in Shining: la steadicam. Impressionanti le sequenze in cui la macchina da presa segue da vicino il piccolo Danny mentre gira sul triciclo per gli spettrali corridoi dell'Overlook Hotel, o la claustrofobica fuga dello stesso bambino nel labirinto esterno, quando il padre Jack, ormai completamente fuori di testa, lo insegue per ammazzarlo barbaramente.
E poi fu Full Metal Jacket, visto più di una volta tra i Bellissimi di rete 4, la cui prima parte contiene una sequela di battute indimenticabile per gli appassionati di citazioni; personaggi ben delineati, violenza sempre mascherata ironicamente, come già per Arancia Meccanica. Ottime prove dei diversi attori, su cui spiccano senz'altro il sergente di ferro Hartman, interpretato magistralmente da R. Lee Ermey e il soldato "Palla di lardo", i cui panni sono vestiti da un giovanissimo Vincent D'Onofrio. Ma ciò che più colpisce è davvero la sceneggiatura, soprattutto nella prima parte, dove viene raccontato l'addestramento dei marines. Indimenticabili le parole dell'invasato Hartman, come le canzoni e le preghiere che insegna via via ai soldati. Cito la preghiera del fucile, ma avrei la tentazione di ricopiare l'intera sceneggiatura...
"Questo è il mio fucile. Ce ne sono tanti come lui, ma questo è il mio. Il mio fucile è il migliore amico e la mia vita. Io debbo dominarlo come domino la mia vita. Senza di me il mio fucile non è niente. Debbo colpire il bersaglio. Debbo sparare meglio del nemico che cerca di sparare me. Debbo sparare prima che lui spari me. E lo farò a cospetto di Dio. Giuro su questo credo. Il mio fucile e me stesso siamo difensori della patria, siamo i dominatori dei stessi nemici, siamo i salvatori della nostra vita e così sia. Finchè non ci sarà più nemico ma solo pace. Amen."
Passai dunque a recuperare e vedere le primissime opere del maestro: Il bacio dell'assassino, con la meravigliosa sequenza dei manichini; Rapina a mano armata, noir di straordinaria fattura e capace di
tenere col fiato sospeso fino alle ultime battute (fonte di ispirazione anche per alcuni film di Quentin Tarantino); Orizzonti di gloria, forse il più bel film di guerra mai realizzato, dove le immagini di vero combattimento sono ridotte a pochi minuti, mentre la vera battaglia è una grande partita a scacchi tra coloro che dirigono i giochi dall'esterno, ben lontani dalla trincea;
Lolita, forse la pellicola più famosa di Kubrick, ma paradossalmente quella che tra tutte mi ha convinto un po' meno; bello, senza dubbio, ma da rivedere in futuro per un opinione più dettagliata; Spartacus, rivisto e
apprezzato
in età adulta, il film meno kubrickiano tra tutti (anche perché la produzione inizialmente l'aveva affidato ad Anthony Mann), ma che ciononostante conserva degli spunti interessanti.